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La protezione

  • Immagine del redattore: studiorebecca
    studiorebecca
  • 6 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

"Quando il far finta di niente diventa una forma di violenza psicologica"


Premessa dell’autrice

Tutti gli argomenti che tratto nascono dall’incontro con chi si affida a me nel percorso di crescita personale e spirituale. Molti di questi temi li ho attraversati anch’io, nella mia carne, nella mia anima. Perché un buon insegnante non è colui che non cade mai, ma chi ha imparato a riconoscere i meccanismi, a risalire dal fondo e ad accompagnare gli altri nella risalita.

Tuttavia, ciò che scrivo non è mai riferito a qualcuno in particolare. Se leggendo ti senti toccato, forse è il momento di guardarti dentro. Il problema non è mai fuori. E certamente non è mio


Quando il silenzio diventa un veleno


Il far finta di niente non è sempre segno di maturità.

Spesso, è un’arma sottile e tagliente. Una forma di controllo, di prevaricazione silenziosa. È il modo con cui certi individui, apparentemente superiori o più “centrati”, evitano il confronto diretto e lasciano l’altro solo nel dubbio, nella colpa, nel gelo dell’abbandono emotivo.


Chi finge di non vedere, di non sentire, di non sapere… in realtà, esercita un potere. Perché sa. Ma decide di non esserci.

E questa assenza, soprattutto quando arriva da chi ha promesso vicinanza, è devastante.


La prepotenza di chi si sente più forte, spesso si traveste da superiorità morale. Si insinua nei momenti di debolezza dell’altro, si nutre delle sue incertezze, dei suoi tentativi di “capire”.

E più l’altro si spiega, si giustifica, cerca dialogo, più viene svuotato.


Finché non resta più nulla.

Un patto col diavolo, inconsapevole e tossico, che però – come ogni cosa – ha una scadenza.

Quando chi era sotto si rialza, la maschera del prepotente cade. E a volte, in apparenza, sembra diventare umile, persino tenero. Ma è solo un nuovo ciclo della manipolazione.


Cosa fare quando sei vittima della manipolazione perversa


La manipolazione emotiva è subdola, profonda, e a volte letale per l’anima.

Bisogna imparare a riconoscerla e a proteggersi. Ecco come comportarsi, a seconda di chi sia l’autore della violenza invisibile:


1. Se è un familiare:

Non cercare giustificazioni solo perché “è sangue”. Il sangue non è un contratto per il tuo sacrificio. Metti confini chiari. Distaccati emotivamente e, se necessario, fisicamente. Ricorda che anche l’amore ha bisogno di rispetto per essere amore.


2. Se è un collega di lavoro:

Proteggi la tua energia. Documenta ogni comportamento scorretto. Se il contesto lo consente, chiedi supporto alle risorse umane o a una figura mediatore. Non cercare alleanze, cerca chiarezza. E se l’ambiente diventa tossico, considera che la tua salute viene prima dello stipendio.


3. Se sei un professionista in proprio e il manipolatore è un cliente*:

Ricorda: non sei obbligato a “servire” chi ti toglie dignità. Osserva bene le dinamiche. Se noti continue svalutazioni, pretese, atteggiamenti passivo-aggressivi, chiudi il rapporto. Fallo con eleganza, ma senza esitazione. Meglio un cliente in meno che l’anima consumata.


4. Se era un amico (e dico era perché un vero amico non agisce così):

Distaccati con classe e maestria. Nessun confronto, nessuna spiegazione lunga. Non farti invischiare in questi giochi demoniaci. Non c’è via d’uscita nella speranza di un cambiamento.

E non credere nella redenzione: non accade quasi mai.

E se accadrà, non sarà grazie a te, ma al fatto che saranno lasciati da soli, con la loro cattiveria, con la loro invidia, con le loro trame oscure. Le vedranno una ad una bussare alla porta. E solo allora, forse, sceglieranno di far pulizia dentro se stessi.



Conclusione


Chi ama, non fa finta di niente.

Chi è sano, non si nutre del tuo dolore.

Chi è vero, si assume la responsabilità delle sue parole, delle sue assenze, dei suoi gesti.

Il resto… è solo ombra da cui protegge

 
 
 

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